Metastasi

Fra i fattori che condizionano la prognosi infausta delle neoplasie maligne, particolare importanza riveste la metastatizzazione, cioè il processo con il quale una neoplasia si impianta in sedi diverse dal focolaio primitivo attraverso il circolo vascolare. Il fegato per la sua elevata vascolarizzazione e per la sua struttura di “filtro”, è frequente sede di metastasi, soprattutto a partenza dalle neoplasie del tratto gastroenterico perché il sangue di tali organi arriva al fegato attraverso il sistema venoso portale, che vascolarizza appunto il fegato. Le metastasi possono essere singole o multiple, localizzate solo al fegato o ad altri organi (linfonodi, polmoni...) e presentano dimensioni variabili tra i pochi millimetri fino ad interessare tutto il parenchima epatico e ad infiltrarne le strutture vascolari.

La terapia delle metastasi epatiche varia in funzione del tumore primitivo, del numero delle metastasi, della sede e delle condizioni generali del paziente.
Parleremo in particolare delle metastasi a partenza colorettale non solo perchè sono di frequente riscontro ma soprattutto perchè oggi riconoscono nella chirurgia combinata alla chemioterapia, una “task force” efficace in grado di garantire sopravvivenze a lungo termine ragguardevoli.
Per contro per le metastasi non colorettali (ovaio, mammella, stomaco) il ruolo della chirurgia è più controverso a causa della diversa storia naturale di queste neoplasie.

Metastasi epatiche colorettali - una strategia terapeutica condivisa

Negli anni '90, avere una metastasi epatica da colon era sinonimo di una prognosi infausta con una breve aspettativa di vita.
II 90% dei pazienti veniva scartato dalla chirurgia, a causa di fattori considerati all’epoca prognosticamente sfavorevoli, quali l’età avanzata, la molteplicità e le dimensioni delle lesioni e la coesistenza del tumore colico primitivo. Questi pazienti spesso non venivano neanche proposti al chirurgo, venendo affidati direttamente all’oncologo per una chemioterapia “palliativa” che garantiva una sopravvivenza media di 20 mesi. Per contro i pochi pazienti che potevano beneficiare di un intervento chirurgico con bonifica del fegato, aveva una chance di sopravvivenza a 5 anni del 30%.
Oggi il decorso naturale della malattia metastatica epatica colorettale è radicalmente cambiato grazie ad uno sforzo condiviso fra oncologo e chirurgo, che ha portato ad un incremento del tasso dei pazienti operabili dal 10% al 30% e garantito ottime sopravvivenza a lungo termine (un paziente su due vivo a 5 anni e uno su tre a 10 anni).
Questo risultato è stato raggiunto dal gruppo e non dal singolo, dalla strategia condivisa fra chirurgo, oncologo e radiologo che è alla base della nostra filosofia di trattamento. Il chirurgo ha dimostrato che si possono ottenere ottimi risultati anche infrangendo tutti i vecchi fattori sopra citati reputati prognosticamente negativi, a patto che si possa garantire una radicalità oncologica (asportare tutte le lesioni senza lasciare residui tumorali) e preservare una percentuale di fegato sufficiente ad evitare un’insufficienza epatica nel post-operatorio.
Ogni paziente che giunge alla nostra osservazione viene discusso durante riunioni multidisciplinari (espletate presso la nostra U.O. con cadenza settimanale), nelle quali viene decisa la strategia più adeguata.
Per prima cosa stabiliamo se il paziente sia tecnicamente resecabile in uno o più tempi, con l’ausilio in casi selezionati della radiofrequenza (bruciatura) di fronte a lesioni profonde e difficilmente raggiungibili, o dell’embolizzazione portale (una manovra effettuata dal radiologo interventista) al fine di aumentare la percentuale di fegato residuo in caso questo sia insufficiente in previsione di una resezione epatica estesa.
Una volta accertata la resecabilità, si concerta con l’oncologo se il paziente sia “oncologically sound”, ovvero se abbia o meno una biologia tumorale favorevole, tale da porre l’indicazione ad una eventuale chemioteapia pre-operatoria.
In caso il paziente non sia resecabile viene affidato all’oncologo per iniziare una chemioterapia secondo schemi differenti in base alla storia ed alle comorbidità del paziente stesso (ulteriori malattie concomitanti). In questo sottogruppo, l’efficacia dei nuovi farmaci è divenuta tale da consentire di riportare alla chirurgia sino al 40% dei pazienti ritenuti inoperabili al momento della diagnosi.
Attuando questa strategia condivisa dal 2006 abbiamo operato 103 pazienti con un età media di 70 anni ottenendo una sopravvivenza stimata a 5 anni del 47% ed a 10 del 28%. Circa un terzo dei pazienti è andato incontro ad una chemioterapia prima della resezione mentre più dell’80% ne ha beneficiato successivamente, confermando la consolidata sinergia teapeutica multidisciplinare presente nel nostro gruppo.
Questo sistema funziona non solo se si dispone di tutte le armi efficaci in grado di curare la malattia, ma anche e soprattutto se si continua a confrontarsi e condividere le proprie esperienze anche al di fuori della propria realtà. A proposito abbiamo creato una rete in Lombardia di Oncologi e Chirurghi dedicati allo studio ed alla cura delle metastasi epatiche a primitività colorettale, sino ad ora formata da 35 centri, che ha lo scopo di riunirsi semestralmente per aggiornarsi dal punto di vista scientifico e discutere quando necessario i casi più complessi in tempo reale avvalendosi di un sito web dedicato livermeta.net.
Inoltre e non per ultimo la nostra Unità Operativa fa parte di una rete internazionale con centro di coordinamento a Parigi, che ad oggi conta 365 centri affiliati e 15 mila pazienti operati e che rappresenta il più grande network mondiale sul trattamento delle mestastasi epatiche (livermetsurvey). Questo ulteriore livello di condivisione ci permette di verificare nel tempo l’efficacia del nostro operato al fine di garantire costantemente al paziente la migliore strategia terapeutica.